XXVIII domenica del tempo ordinario
La parola di Dio di questa ventottesima domenica del tempo ordinario ci invita a riflettere seriamente sul destino eterno dell’uomo, proprio a partire dal testo del Vangelo di Marco. Esso si può dividere in tre step o tre momenti. Il primo momento riguarda un tale che si rivolge a Gesù, lungo la strada, per chiedere informazioni in che modo può conquistare la vita eterna. E si rivolge al Signore con un’espressione che Gesù stesso evidenzia: Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?
Gesù replica con questa domanda: Perché mi chiami buono? E precisa che nessuno è buono se non Dio solo. Con questa precisazione di carattere teologico, Gesù vuol dire a chi gli sta di fronte che lo riconosce come Dio, per chiamarlo buono. Si tratta di un atto di fede espresso da un tale di cui Marco non dice il nome.
Gesù ricorda a questo tale che bisogna osservare i comandamenti per andare in cielo, per salvarsi la vita nella prospettiva dell’eternità. Per cui non si deve uccidere, commettere adulterio, rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onorare il padre e la madre. Ricorda così i comandamenti più importanti dei dieci, ben noti al popolo di Dio. Al richiamo del maestro, questo tale risponde con immediatezza e consapevolezza del suo agire etico: tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza. Per affermare questo significa che era una persona giovane o adulta e avanti negli anni. In poche parole, vuole informare Gesù che egli ha vissuto coerentemente con gli insegnamenti della Sacra scrittura, osservando tutti i comandamenti, che sono richiamati nei Testi Sacri.
A questo punto, potrebbe chiudersi il discorso tra Gesù e questo tale. Ma Gesù, ricorda, il testo del vangelo di Marco, fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: Una cosa sola ti manca, va vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo e vieni e seguimi. Tre cose deve fare questo tale per entrare nel Regno: vendere tutto, donare tutto e seguire Gesù.
Non si tratta solo di vendere tutto, come spesso si fa per esigenze economiche o di altro genere oggi, ma anche di donarlo, in quanto si può vendere, ma conservare. Distribuire e donare ai poveri, agli altri significa conquistarsi un tesoro molto più importante, perché è un atto di carità, di generosità e di solidarietà. Donare ciò che uno ha e che potrebbe essere utile agli altri è molto importante perché si solleva il fratello dalla miseria e dall’indigenza. Vendere, donare e seguire sono tre verbi che in questo caso sono tre azioni indicate da Gesù per camminare sulla via della santità.
Cosa è successo di fronte a questo invito da parte del maestro nei confronti di questo tale dei tali? E che dopo il discorso di Gesù, gli si scuri il volto e se ne andò rattristato, in quanto egli possedeva molti i beni e lasciare tutto non se lo sentiva proprio. Era attaccato ai soldi e ai suoi beni. Esattamente a quanti vivono solo per il denaro.
A questo punto subentra il secondo momento della riflessione di Gesù e che riguarda il tema della ricchezza. Il rifiuto del giovane a seguirlo fa parlare apertamente il Signore sulla questione economica. Ed egli volgendosi attorno, in particolare ai suoi discepoli, disse: “quanto è difficile per quelli che possiedono ricchezze entrare nel regno di Dio”.
I discepoli preoccupati, forse perché qualcuno di loro aveva dei beni, replicarono a Gesù: E allora qua nessuno si può salvare, perché più o meno tutti abbiamo qualche cosa.
Gesù replica a questo loro sconcerto con parole più dure e forti: Figlioli è difficile entrare nel regno di Dio e per chi è attaccato ai soldi. E fa un paragone assurdo: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno di Dio.
Gesù usa questo paragone per farci capire che è impossibile conquistare la salvezza se uno non si converte. Ma se si converte è possibile a tutti, anche ai ricchi.
Con il discorso sui soldi che non danno facile accesso al paradiso, contrariamente a quanto si pensa e si dice oggi, Gesù mette l’accento sulla santità che si conquista attraverso il bene operare e la generosità. Ma punta anche il discorso sul fatto che Dio ricompensa abbondantemente chi si pone alla sua sequela. Pietro coglie l’occasione per domandare a Gesù cose molto concrete: E allora noi che abbiamo lasciato tutto e tutti e ti abbiamo seguito, che cosa dobbiamo attenderci da questa sequela? Pietro ha la mentalità pagana, affaristica, concreta. D’altra parte loro che hanno lasciato la famiglia, il lavoro, le varie attività ed hanno seguito Gesù, si aspettano la ricompensa, forse una posizione migliore, rispetto a quel lavoro così difficile è faticoso che facevano.
Gesù replica a quello che Pietro aveva chiesto e promette a chi lo segue il centuplo di tutto in questa vita, ma anche persecuzioni e il premio finale della vita eterna. Le promesse di Dio sono certe, quelle dell’uomo sono insicure e facilmente si dimenticano.
Dal libro della Sapienza, prima lettura di questa domenica, possiamo ben capire che è necessario acquisire quella giusta prudenza nelle cose e nella vita, per poi aspirare legittimamente alle realtà più nobili e durature. Leggiamo infatti nel testo sapienziali che “Pregai e mi fu elargita la prudenza, implorai e venne in me lo spirito di sapienza”.
Chiedere a Dio tutto questo è indispensabile per comprendere dove sta la verità e come cercarla concretamente nella storia personale e dell’umanità. Questa sapienza va preferita a scettri e a troni, la ricchezza di questo mondo va stimata un nulla al suo confronto, non va paragonata neppure a una gemma inestimabile. In altri termini, possiamo avere tutto l’oro di questo mondo, ma la sapienza al suo confronto è come un po’ di sabbia e come fango sarà valutato di fronte a lei l’argento.
Amare davvero la sapienza che viene dal cielo, che deve essere apprezzata più della salute e della bellezza, preferirla alla stessa luce, in quanto lo splendore che viene da lei non tramonta mai. Avendo questa capacità di discernimento e di valutazione arrivano all’uomo tutti i beni; la sapienza è un bene infinito ed incalcolabile. Tale sapienza e prudenza non si acquista sui libri o al mercato delle chiacchiere e dei discorsi vani ed insipienti del mondo, ma alla scuola della parola di Dio e come recita la seconda lettura di questo giorno santo, essa “è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore”. Nel confronto sistematico con la parola di Dio l’uomo fa’ chiarezza e luce nella sua vita, spesso annebbiata e offuscata da tanti fantasmi e paure che non gli rasserenano il cuore e la mente. D’altra parte, come ben sappiamo dai libri sacri, ed oggi ci viene nuovamente ricordato in questo brano della Lettera agli Ebrei, “non vi è creatura che possa nascondersi davanti a Dio, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi di colui al quale noi dobbiamo rendere conto”.
In conclusione, la parola di Dio di questa domenica ci fa capire che per conquistare il Paradiso e non un vetta di un monte o un premio di qualsiasi genere, bisogna di essere distaccati dalle cose della terra e pensare un po’ di più all’eternità, al Paradiso, nel quale ci si arriva, dopo questa vita, facendo opere di bene e non con le chiacchiere. Perché parlare è bene, ma agire è meglio. Si deve parlare quando parola detta si traduce poi nella vita personale in azioni di bene a servizio di Dio e dei fratelli.
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