XXX domenica del tempo ordinario
Non tutte le domande hanno la stessa risposta: e fin lì, tutti ci possiamo arrivare. Nemmeno la stessa domanda può avere lo stesso tipo di risposta: persone diverse possono rispondere in maniera diversa alla stessa domanda, anche alla più elementare. Uno più uno fa due, per tutti: ma è sufficiente che uno sia un asino in matematica perché dia una risposta differente a quella esatta. Ci manca poi che avvenga quello che, spesso, capita nella vita, ovvero che quando pensi di avere in mano tutte le risposte, la vita ti cambia le domande. E in genere, quelle domande di cui pensi di avere già le risposte pronte, nessuno mai te le farà, per cui hai faticato invano. Se poi, invece delle domande elementari, prendiamo in considerazione quelle più profonde, quelle esistenziali, altro che varietà di risposte… Anche se, oggettivamente, non dovrebbe essere difficile dare risposte uniformi alle domande legate all’esistenza. Se a un centinaio di persone si chiede: “Vuoi essere felice nella vita?”, sfido chiunque a trovarne anche solo uno che risponda “No, grazie”. La questione si fa ovviamente più complessa nel momento in cui si chiede di specificare la risposta, con una domanda di questo tipo: “Vuoi essere felice? D’accordo: cosa posso fare per te? Cosa vuoi che faccia per renderti felice?”.
“Che cosa volete che io faccia per voi?”, chiedeva domenica scorsa Gesù ai figli di Zebedeo che volevano che lui facesse per loro ciò che gli avrebbero chiesto. “Che cosa vuoi che io faccia per te?”: a distanza di una settimana, torna questa domanda di Gesù, non più al plurale, ma al singolare perché rivolta a una sola persona, al figlio di Timeo (un perfetto sconosciuto, nel Vangelo, ma forse noto alle prime comunità cristiane, poiché non c’è nemmeno bisogno, per Marco, di spiegare chi sia). Due domande identiche, eppure con due risposte molto differenti, come volevasi dimostrare. Forse tutti e tre (Bartimèo da una parte, Giacomo e Giovanni dall’altra) desideravano essere felici: ma la risposta a questo desiderio di felicità è diversa. Perché diverso è il contesto in cui Gesù pone la medesima domanda; perché diverso è il motivo che ci spinge a cercare la felicità, e allora quando Dio ci chiede “Cosa posso fare per te?”, le risposte non possono essere le stesse.
Incamminati verso Gerusalemme, la scorsa settimana i figli di Zebedeo si avvicinarono a Gesù e senza interromperlo nel loro cammino lo presero quasi in disparte, ed evitando di farsi sentire dagli altri dieci (che poi alla fine si accorgono comunque) gli chiesero un posto d’onore nella sala del trono del suo regno. Avevano vergogna, forse, a farsi sentire, perché non era bello che gli altri sapessero di questa loro richiesta: ma Gesù non vuole sotterfugi, e li obbliga a venire allo scoperto, rivelando le loro intenzioni non proprio così nobili (che in realtà non dispiacevano neppure agli altri…). Chi invece, nella sua richiesta si fa sentire e vuole farsi sentire (eccome!) è proprio questo figlio di Timeo, cieco, che seduto lungo la strada chiedeva l’elemosina. Non è che gli restasse più di tanto da fare: e stiamo pur certi che nessuno lo invidiava per ciò che stava facendo. Lui non ha la possibilità di affiancarsi a Gesù mentre cammina: infatti, sta lì seduto, in mezzo alla strada, fuori dalla città, in un luogo di passaggio in cui si rischia veramente di rimanere calpestati dalle persone: tant’è, peggio di così non gli può andare, visto che – a causa della sua disabilità, avvenuta non alla nascita ma nel corso degli anni – è stato messo fuori, bandito dalla città, emarginato: sarà anche figlio di questo illustre sconosciuto che è Timeo, ma siccome in una città di commercio e di giro di denaro come Gerico (Zaccheo docet) se non produci non sei più nessuno, l’unica soluzione è mendicare vita ai bordi della strada e concludere la propria esistenza così, nell’oblio e nel buio, non solo quello degli occhi, ma anche quello dell’anima.
Ma quel giorno, lungo la strada, c’è un brusio diverso, un vocio non comune, come se passasse qualcuno di diverso. Queste cose, a chi è cieco, non sfuggono, perché la sua sensibilità aumenta in tutti i sensi: sente di avere a portata di mano l’occasione della sua vita, perché passa Gesù Nazareno, di cui avrà sentito certamente parlare un gran bene, non solo come taumaturgo. E allora Timeo, che non può sussurrare nulla a Gesù, perché non può neppure avvicinarsi a lui, usa l’unica forza che gli è rimasta, quella delle corde vocali, per dire a Gesù: “Ci sono anch’io”. E grida, grida fino a dare fastidio, grida finché non viene ascoltato: del resto, la storia non cambia, il povero sempre grida, protesta, si fa sentire, dà fastidio ai potenti, marcia dall’Honduras agli Stati Uniti, diremmo oggi, perché non ha altro modo per far sì che un mondo sordo, e cieco anche forse peggio di lui, si accorga che esiste!
“Il povero grida, e il Signore lo ascolta”, si legge nei salmi: già, Dio ascolta sempre il grido del povero, a differenza del mondo, che sente, ma non ascolta, anzi, cerca di zittire la sua voce, perché è una voce che dà fastidio, che è meglio non sentire. E di fronte a Dio, di fronte alla sua domanda, a quella medesima domanda rivolta poco prima ai due discepoli (che forse di Gesù avrebbero dovuto conoscere qualcosa di più, rispetto a Bartimèo), “Cosa vuoi che io faccia per te?”, la risposta non è proprio la stessa: lui non voleva troni per stare seduto, era già stato seduto fin troppo ai bordi della strada. Tutt’altro, vuole l’esatto contrario: vuole camminare, tornare a vivere, magare anche seguire Gesù (come di fatto fece), e per questo voleva “vedere di nuovo”, come già aveva fatto in precedenza, come già vedeva prima. Voleva solo una cosa: che la vita gli restituisse ciò che gli aveva tolto. E viene esaudito. Perché? Per la sua fede.
Ma come, forse che i due discepoli non avevano la stessa fede? Perché a lui sì e a loro no? Perché Dio ascolta alcuni e altri no? Perché Dio preferisce la fede di alcuni e mortifica quella di altri? Perché Dio invece di fare preferenze per i suoi collaboratori li accantona e dà spazio ai perfetti sconosciuti? Perché, se tanto il cieco come i figli di Zebedeo riconoscono in Gesù il Figlio di Davide, uno viene esaudito e gli altri no?
La risposta, in questo caso, la sa Dio. Forse, però, possiamo intuire qualcosa. Se a questo Figlio di Davide ti avvicini per chiedergli gloria e potere, come li ebbe Davide, potente re d’Israele, non otterrai che un invito a metterti a servizio degli altri; se invece gli gridi la tua disperazione, e gli chiedi solamente di avere pietà di te (cosa che anche Davide fece con Dio, e non una sola volta), otterrai di nuovo ciò che ti era stato tolto. Il problema non sono mai le domande che rivolgiamo a Dio, e forse neppure le risposte che egli ci dà, ma il punto di partenza, l’intenzione, quello che non si vede con gli occhi, ma con il cuore. E che si chiama fede.