XXXI dom del Tempo Ordinario

Ascolta… amerai

Sta tutto qui il Vangelo. In questi due verbi che si completano a vicenda. Senza ascolto non può esistere amore, come pure senza amore l’ascolto si limita a sentire l’altro senza provare a fargli posto, a metterci nei suoi panni.

Alla domanda del dottore della Legge sul primo e più grande dei comandamenti, Gesù non esita a rispondere facendo risuonare quel verbo che è il fondamento di ogni rapporto e l’inizio di ogni preghiera: Shemà… ascolta.

Ma per ascoltare occorre fermarsi, sedersi, mettersi accanto all’altro piuttosto che stare al centro. È necessario fare spazio. Liberare uno spazio concreto dentro di noi, perché l’altro si senta atteso, desiderato e trovi un posto in cui potersi fermare anch’egli, abbassare le difese e sentirsi un po’ a casa. Occorre liberarci dai nostri schemi e pregiudizi, dai nostri programmi e dalle nostre tabelle di marcia, perché l’altro ci trovi pronti e disponibili, leggeri e disarmati. L’ascolto chiede verità e non accetta maschere, è la rivincita della fiducia sulla paura, dell’attenzione sull’indifferenza.

Tutto questo vale tanto per Dio quanto per l’uomo. L’amore di Dio e del prossimo sono inseparabili. Ecco perché Gesù accosta insieme i due comandamenti, l’uno affermato dal Deuteronomio (Dt 6,5) e l’altro dal Levitico (Lv 19,18): l’uno dice la verità dell’altro, vanno letti l’uno alla luce dell’altro.

L’amore nasce dall’ascolto. È generato da una Parola che mi interpella e, se ascoltata e accolta, mi permette di vivere ciò che altrimenti risulterebbe impossibile. È Gesù questa Parola fatta carne in cui l’amore si compie e si realizza, oltre ogni logica di contraccambio, oltre ogni appartenenza al popolo dell’alleanza. In Gesù l’amore diventa possibile, fino a spingersi oltre il consentito, fino a diventare esagerazione, follia, dono di sé per tutti e, prima di tutti, per i nemici.

Allo scriba che interpella Gesù non manca certo la conoscenza dei comandamenti per essere pienamente nel Regno. Ciò che manca a questo scriba è ciò che fa la differenza e cioè l’adesione alla persona di Gesù, l’accoglienza del Regno di Dio che in lui si fa vicino colmando ogni distanza. È la prossimità di Dio alla nostra vita, che in Gesù rende possibile e concretissimo l’amore, per tutti.

Un prigioniero di guerra in un campo di concentramento giapponese, un giorno scrisse un biglietto che è arrivato fino a noi, una piccola luce in mezzo all’oscurità di tutto quell’odio e quella barbarie in cui si trovava immerso. Non conosciamo il suo nome, ma solo queste parole. Uno squarcio di cielo sopra un orrore senza precedenti, uno strappo tra le maglie fittissime di un male tanto feroce, ma non certo invincibile.

«Nessuno sapeva dirmi dove fosse la mia anima. Ho cercato Dio, ma Dio mi sfuggiva. Ho cercato il mio fratello e ho trovato tutti e tre: la mia anima, il mio Dio e tutta l’umanità».

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