XXXI domenica del tempo ordinario
Il film “L’attimo fuggente” (“Dead Poets Society” del 1989, di Peter Weir) ci racconta di un insegnante dai metodi molto originali e controversi, John Keating (interpretato da Robin Williams) che ne 1959 inizia a insegnare letteratura in un collego maschile. In una delle scene più famose del film, il professore improvvisamente sale sulla cattedra, e invita successivamente gli studenti a fare a turno la stessa cosa. Accompagna questo dicendo “faccio questo per ricordarmi di guardare le cose da angolazioni diverse e il mondo appare diverso da quassù…
E’ proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un’altra prospettiva anche se vi può sembrare sciocco o assurdo ci dovete provare…… guardatevi attorno, ribellatevi… osate cambiare, cercate nuove strade”
Zaccheo, nel racconto del Vangelo, fa un po’ come questo professore e sale sull’albero di sicomoro per vedere la scena di Gesù che arriva. E’ una prospettiva diversa dal solito quella che sceglie, abituato per l’altezza fisica (“…era piccolo di statura”) e per il lavoro che fa (“…capo dei pubblicani e ricco”) a stare in basso sia dal punto di vista concreto che nella considerazione davanti al popolo, che odiava i pubblicani (e i loro capi) e li considerava maledetti da Dio e impuri.
Zaccheo in modo timido cerca di cambiare le cose e di non stare forzatamente in disparte. Il racconto non ci dice direttamente il motivo per il quale questo piccolo uomo compie quel gesto, ma forse lo si può ricavare da una consuetudine di Gesù, tanto odiata dai suoi avversari, che era quella di stare spesso in mezzo a peccatori, pubblicani e prostitute, senza paura di risultare anche lui stesso impuro davanti a Dio. Zaccheo forse si rifà a questo, e decide di salire e vedere la scena da un punto di vista diverso, superiore.
Anche Gesù sceglie un punto di vista diverso per guardare agli uomini e anche lo stesso Zaccheo. Non dall’alto ma dal basso (“Gesù alzò lo sguardo”). E anche qui si manifesta un rovesciamento di prospettive abituali.
Se ripensiamo la storia di Gesù con lo spunto dato dalle parole del professor Keating del film, possiamo dire che Dio stesso ha voluto scegliere di guardare l’uomo non dalla prospettiva dei cieli incontaminati e perfetti, ma proprio scendendo dall’angolazione dell’uomo. Questo è sembrato sciocco e assurdo ai religiosi del tempo, e per questo hanno condannato Gesù come bestemmiatore. Ma è proprio con questo che Dio ha cambiato le cose e ha aperto nuove strade.
Gesù nel racconto finisce a tavola con Zaccheo, il piccolo impuro peccatore! E questo cambia la vita di quest’ultimo aprendola alla carità. Gesù e Zaccheo e i poveri alla fine sono sullo stesso piano, e il mondo in questo modo cambia davvero.
In questi giorni ha fatto molto rumore quello che è avvenuto a Goro, un piccolo paese di Ferrara, i cui abitanti hanno eretto barricate per fermare l’arrivo di alcuni profughi assegnati dal prefetto ad una struttura del luogo. E anche se si è subito scoperto che i profughi erano tutte donne di cui una incinta, la protesta e il blocco non si sono fermati.
La cosa fa pensare e non può essere liquidata come un evento piccolo e che non si ripete. E’ tutto un clima che, a mio avviso, si sta “deteriorando” nei confronti del dramma della migrazione dei popoli per povertà, guerre e ingiustizie. Accogliere non è facile e non è mai indolore, richiede sicuramente sempre più organizzazione e collaborazione tra città e tra stati. Ma la soluzione delle “porte chiuse”, dei “muri” e “barricate” non è logica e tantomeno cristiana. La società ai tempi di Gesù era piena di barriere e muri, sia dal punto di vista fisico che strettamente religioso. Gesù ha voluto abbattere tutte queste barriere che erano soprattutto dentro le persone. Gesù ci ha dato il “punto di vista di Dio” che vede in tutti, a cominciare proprio da questo Zaccheo, un “figlio di Abramo”, cioè uno come gli altri, anche lui degno di essere amato e accolto prima di tutto. Alzare barriere culturali e religiose è davvero contro quello che ci insegna il Vangelo, e come cristiani non possiamo non sentirci interpellati.
Tra meno di due mesi la tradizione ci porta a celebrare il Natale, “Dio che si fa uomo”. Facciamo dunque in modo (non solo con le parole ma con i fatti) che queste celebrazioni non siano così svuotate del loro significato da farci dimenticare che Dio con Gesù nato a Betlemme, dall’alto dei cieli è sceso come ospite e pellegrino in mezzo a noi, per farsi accogliere in ogni uomo e donna della terra.
Dio ha osato cambiare le regole e ha cercato nuove strade per amare ogni uomo. E non è un “attimo fuggente” ma la storia dell’umanità.